Un approccio diffuso per aumentare il volume d’osso disponibile prima di inserire un impianto è il posizionamento di un innesto nel seno mascellare. I fattori noti che influiscono sulla sopravvivenza degli impianti sono molti: ad esempio, la tecnica chirurgica, il tempo di inserimento dell’impianto, il materiale d’innesto, le membrane. Tuttavia, il ruolo delle diverse combinazioni di fattori e dei reciproci effetti associati non è ancora chiaro. I metodi statistici convenzionali non tengono in considerazione l’inconsistenza dei disegni dello studio a non includono l’analisi delle covariabili. Per questo motivo, Duttenhoefer e colleghi (2013) hanno condotto una ricerca sistematica e una meta-analisi per analizzare l’influenza di varie modalità di trattamento sulla sopravvivenza degli impianti in seni mascellari sottoposti a rialzo.
Materiali e metodi:
La meta-analisi è stata eseguita secondo le linee guida PRISMA. Gli articoli pubblicati dal 1980 fino a gennaio 2013 sono stati cercati manualmente ed elettronicamente in MEDLINE (Ovid), nel Registro Cochrane degli studi controllati, nel Database of Abstracts of Effects e nel Database Cochrane delle Review sistematiche.
Sono stati inclusi gli studi clinici che riportavano interventi singoli di rialzo del seno con impianti a forma di radice, con un minimo di 10 pazienti e 6 mesi di carico, nei quali era dichiarata o risultava calcolabile la sopravvivenza implantare.
Risultati:
Sono state incluse in totale 122 pubblicazioni su 16268 impianti endossei posizionati nel seno mascellare dopo incremento osseo. Non è stata rilevata una preferenza selettiva per i seguenti parametri di trattamento: approccio chirurgico, materiale d’innesto, tipo di impianto.
Tuttavia, l’applicazione di membrane ha mostrato una riduzione significativa del coefficiente di rischio, in modo indipendente dagli altri co-fattori.
Conclusioni:
L’uso di membrane è il fattore più significativo per ottenere una sopravvivenza a lungo termine degli impianti nelle procedure di rialzo del seno. Sono necessari altri dati a follow-up superiore a 3 anni per affrontare i fattori confondenti e migliorare l’evidenza clinica.